Incatenati alla moneta – CFA e non solo
Gli architetti finanziari dello sfruttamento “sostenibile” (a oltranza)
La Zone franc, da quasi mezzo secolo, secondo la BdF
est un instrument de solidarité et de développement destiné à conforter la croissance, à réduire la pauvreté et à approfondir l’intégration régionale.
[ è uno strumento di solidarietà ed una strategia di sviluppo atta a sostenere la crescita e l’integrazione regionale per ridurre la povertà.]
Si tratta di una unione monetaria divisa in due parti entrambe molto simili, alla zona euro. Le Bénin, le Burkina Faso, la Côte d’Ivoire, la Guinée-Bissau, le Mali, le Niger, le Sénégal et le Togo sont membres de l’Union économique et monétaire ouest-africaine (UEMOA). Le Cameroun, la République centrafricaine, la République du Congo, le Gabon, la Guinée équatoriale et le Tchad sont membres de la Communauté économique et monétaire de l’Afrique centrale (CEMAC). L’Unione delle Comore è il quindicesimo membro africano della Zona del Franco.
Il CFA – franco delle colonie francesi dell’Africa occidentale e centrale – e il CFP – franco delle colonie francesi del Pacifico – è emesso in Francia e controllato dalla Banque de France (BdF).
sul cui sito si legge:
la Zone franc est caractérisée par une réglementation des changes unique et la libre convertibilité, à des parités fixes, des différentes monnaies et
apparaît comme une zone de libre circulation des mouvements de capitaux
[la Zona Franc è caratterizzata da un regolamento comune sui tassi di cambio e dalla libera convertibilità, a parità fissa, delle diverse valute in un’area di libera circolazione dei movimenti di capitali]
L’objectif principal de la politique monétaire de la BCEAO est d’assurer la stabilité de la monnaie, c’est‑à‑dire d’une part la stabilité externe, c’est‑à‑dire la parité fixe, d’autre part
la stabilité interne des prix. [L’obiettivo principale della politica monetaria è perciò quello di garantire la stabilità della valuta, rispetto all’esterno (parità fissa) e la stabilità dei prezzi interni.] (1)
L’analogia con l’area monetaria vigente in zona euro si è spinta ancora oltre. I meccanismi di “cooperazione“ furono resi più rigidi dopo la svalutazione del 1994 con la adozione di criteri di convergenza finalizzati al raggiungimento di una integrazione economica in grado di evitare ulteriori crisi (nel 1994 tutti i paesi erano sopravvalutati del 30 per cento, le riserve erano scese alla soglia critica del 20 per cento e la Francia impose una svalutazione del 50 per cento su richiesta del Fondo monetario internazionale):
Convergence criteria have been applied to each region since then.
• The West African Economic and Monetary Union (WAEMU) redefined them in 2015. There are three first-level criteria:
– inflation must remain below 3% per year;
– public debt must not exceed 70% of GDP;
– an overall budget deficit less than or equal
to 3% of GDP.
• The “first-level” criteria for the CEMAC (Central African Economic and Monetary Union) are identical for inflation and public debt, and also include:
– an underlying budget balance greater than or
equal to 0% of GDP;
– non-accumulation of internal or external arrears.
[I criteri di convergenza applicati a ciascuna regione da allora:
• L’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (WAEMU) le ha ridefinite nel 2015. Ci sono tre criteri di primo livello:
– l’inflazione deve rimanere al di sotto del 3% all’anno;
– il debito pubblico non deve superare il 70% del PIL;
– un disavanzo di bilancio complessivo inferiore o uguale
al 3% del PIL.] (2)
Povertà artificiosa
Privi di sovranità monetaria e di qualsiasi politica economica autonoma; costretti per di più a depositare il 50% delle loro entrate presso il Tesoro francese (e non verso la Bce malgrado oggi il cfa non sia più legato al cambio fisso col franco ma ancorato all’euro) per “pagarsi“ la garanzia della convertibilità illimitata delle partite estere della zona Cfa (3); anche metà degli «aiuti umanitari» in euro o dollari che vengono inviati in Africa subiscono lo stesso destino così come la metà della valuta straniera che ricavano dalle loro esportazioni: versamenti obbligati a garanzia della convertibilità e del cambio fisso (1€ = 655 cfa). Questo processo si traduce in una emorragia permanente che drena liquidità dal sistema tenendo questi paesi in una condizione di cronica rarefazione monetaria che non permette loro di valorizzare i fattori produttivi esistenti primo tra tutti la forza lavoro che piuttosto che generare ricchezza localmente sceglie sempre più spesso la via del mare.
Il Cfa risulta perfettamente funzionale allo sfruttamento sistematico e continuativo dei Paesi in cui vige. Si tratta, infatti, di una moneta a debito che costa molto cara a chi ne fa uso e permette a chi la fornisce di mantenere in condizione di sottosviluppo cronico i paesi in cui circola, facilitandone la predazione.
I Paesi coloniali che la subiscono non possono utilizzarla per realizzare grandi opere infrastrutturali o grandi investimenti né per la messa in opera di servizi pubblici o nel campo dei diritti sociali, della formazione, della ricerca, e della crescita culturale e civile, senza evitare l’emorragia finanziaria che il suo uso comporta, senza, cioè, stringersi al collo il cappio del debito.
Con il Cfa, i Paesi adottanti si vincolano ad una politica monetaria imposta dalle istituzioni francesi. La spesa in deficit è concessa fino al limite del 3% e il rapporto debito/Pil sino ad un massimo del 70%. Al solito, non è l’entità del debito il problema (per questi paesi significativamente basso) ma il fatto che viene contratto in valuta straniera e che le risorse finanziarie che se ne ricavano vengano impiegate malamente, senza che risultino in grado di innescare un reale sviluppo. Una spesa in disavanzo del 3% è un valore insufficiente ad innescare virtuosi effetti moltiplicatori rischiando viceversa di rinforzare la catena del debito che assicura continuità alla estrazione predatoria di risorse e ricchezze locali; in pratica, un nodo che si stringe al collo di questi Paesi ogni volta che tentano di muoversi nel tentativo di svincolarsi dalla morsa finanziaria cui sono costretti.
L’ancoraggio all’euro, una moneta troppo forte per quelle fragili economie, non permette di ricavare molto dalla vendita all’estero di quei rari prodotti che riescono a trasformare così come da risorse e materie prime, perché il listino prezzi dei prodotti da esportazione, a causa della valuta troppo forte, è tutt’altro che competitivo. Per guadagnarsi un mercato devono quindi cederle a prezzi assai vicini ai costi di estrazione e/o produzione, pagando, di conseguenza, salari da fame ai lavoratori che saranno così costantemente impediti ad alimentare i consumi di prodotti locali. Più conveniente per loro importare, perchè una moneta forte compra bene all’estero, ma a discapito della produzione interna. Viceversa, gli investitori esteri, che impiegano capitali a fini quasi esclusivamente estrattivi, non saranno costretti ad investire localmente i profitti realizzati, grazie alla vigente libertà di portarli al di là di qualsiasi confine.
Bisogna allora chiedersi a chi giova il franco CFA. Abbiamo visto che incentiva fortemente l’afflusso di capitali esteri più spesso finalizzati ad economie estrattive. Di sicuro, perciò, fa gli interessi di multinazionali e corporazioni e in genere di tutti coloro che desiderano portarsi a casa i proventi realizzati in quelle regioni: francesi, ma anche cinesi, italiani, tedeschi e così via. Fa certamente comodo ai dirigenti delle banche centrali e alle élite politiche della zona, ben disposte nei confronti della Francia. Non è certo positivo per quelle imprese locali che desidererebbero ottenere crediti a tassi di interesse accettabili (le banche di questi paesi di solito preferiscono non prestare troppo denaro, per evitare un presunto incremento dell’inflazione, che metterebbe a rischio la salvaguardia del tasso di cambio fisso). Tassi di interesse alto se da una parte svantaggiano i piccoli imprenditori locali che chiedono credito, dall’altra, come sappiamo, avvantaggiano i detentori di capitali che viceversa sono, ovviamente, contrari a processi inflattivi che eroderebbero i loro crediti. Proteggere il potere d’acquisto di salari e stipendi da bassi livelli di inflazione innescati da politiche espansive sarebbe possibile indicizzandoli adeguatamente al fine di sostenere la domanda interna ma nella logica neoliberista dominante si fanno altre scelte ovvero quelle che avvantaggiano i ricchi investitori esteri. A loro sarà permesso di portare via i capitali realizzati grazie alle attività svolte in loco senza che i profitti realizzati
siano adeguatamente tassati. Queste stesse regole permettono sia l’attrazione di capitali che la loro dipartita verso altri lidi, gonfiati dal plusvalore realizzato.
In altre parole, espandere il credito grazie alla riduzione dei tassi d’interesse e alla tassazione dei profitti ottenuti dalle grandi corporazioni, indurrebbe movimenti di capitali in fuga dal paese e conseguenti pressioni sul cambio.
I vincoli esistenti impediscono, perciò, politiche fiscali in grado di sostenere la domanda interna ed investimenti produttivi con spesa in deficit. Quelli che per qualcuno potrebbero sembrare vantaggi: bassa inflazione e maggiore facilità alle importazioni (più di beni di lusso che di beni per l’investimento produttivo) sono, in realtà, il risultato della stagnazione della economia il primo e la causa del forte disincentivo alle produzioni interne, il secondo (le esportazioni essendo penalizzate anche verso l’area del dollaro).
L’adesione al franco Cfa è volontaria?
Formalmente sì, ma chi ha provato a uscirne ha subito intimidazioni, ricatti, pressioni e minacce fino all’assassinio dei capi di Stato che hanno tentato di svincolarsi dalla trappola economica su descritta. È successo a Sekou Touré, presidente della Guinea, nel 1958 che è stato il primo a provarci. In generale, su 67 colpi di stato avvenuti in Africa negli ultimi 50 anni il 61% sono stati provocati nelle «ex» colonie francesi.
1963 – Sylvanus Olympio, Togo | 1966 – John-Aguiyi Ironsi, Nigeria |
1969 : abdirachid-ali shermake, somalia | 1972 : abeid-amani karumé, zanzibar |
1975 : richard ratsimandrava, madagascar | 1975 : françois-ngarta tombalbaye, ciad |
1976 : murtala-ramat mohammed, nigeria | 1977 : marien ngouabi, congo-brazzaville |
1977 : teferi bante, etiopia | 1981 : anouar el-sadate, egitto |
1981 : william-richard tolbert, liberia | 1987 : thomas sankara, burkina-faso |
1989 : ahmed abdallah, des comores | 1989 : samuel-kanyon doe, liberia |
1992 : mohammed boudiaf, algéria | 1993 : melchior ndadayé, burundi |
1994 : cyprien ntaryamira, burundi | 1994 : juvénal habyarimana, rwanda |
1999 : ibrahim barré-maïnassara, niger | 2001 : laurent-désiré kabila, congo-kinshasa |
2009 joão bernardo vieira, guinea-bissau | 2011 : mouammar gheddafi, libia |
Altri. morti in esilio, come Leon M’Ba del Gabon e Jadel Bedel Bokassa della Repubblica (Impero) Centrafricano (4) Vedi anche (5)
Non solo Cfa
Se si paragonano i Paesi africani in termini di Indice di Sviluppo Umano, li si trova quasi tutti in fondo alla graduatoria. ( La Libia di Gheddafi aveva fatto registrare altissimi valori di quell’indice)
Se è vero, come è vero che l’Africa sia il continente più ricco al mondo, per risorse e spazi vitali, bisogna chiedersi più in generale chi ne impedisce lo sviluppo economico e sociale e come… Ecco una proposta seppure schematica e incompleta:
COME
– Controllo sistematico dei governi in carica; loro abbattimento e sostituzione qualora non compiacenti agli interessi di sfruttamento esterno;
– Imposizione di modelli economici di libero mercato (neoliberismo);
– Economia (Schiavitù) del debito: prestiti elargiti da banche d’affari, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale ecc. in valuta internazionale, ad alti tassi di interesse, senza alcun riguardo per l’esposizione debitoria e rinegoziazione dei debiti che prevedono piani di restituzione “facilitati” dalle politiche di aggiustamento strutturale (austerity ovvero taglio spesa pubblica e stato sociale ove presente, privatizzazioni, liberalizzazioni, concessioni di sfruttamento delle risorse locali, che hanno il fine, non dichiarato, di aggravare e cronicizzare la condizione di sottosviluppo, a garanzia della continuità dello sfruttamento);
– Imponendo il franco francese (15 paesi);
– “Rubando” loro terra e spazi vitali: LAND GRABBING (terra su ampia scala venduta o concessa a terzi indipendentemente dal consenso della popolazione che la abita o la coltiva da sempre) con conseguente perdita di risorse comuni quali terre agricole, foreste, acqua, pascoli;
– Legname, risorse minerarie e combustibili fossili a prezzi irrisori;
– Manodopera a costo quasi zero; Emigrazione;
– Rapina sistematica delle risorse ittiche tramite pesca illegale condotta con pescherecci industriali che usano persino i satelliti per individuare e setacciare il pesce in mare – pesca a strascico;
– Rimpatrio dei profitti da parte degli investitori (leggi “prenditori”) esteri, autorizzati dalla libera circolazione dei capitali; falsificano i bilanci di import/export e scelgono di andare a depositare i loro ricavi nei paradisi fiscali;
– Politiche economiche tutte votate alla esportazione;
– Le materie prime quasi mai vengono trasformate localmente (perdita occupazionale e del valore aggiunto della mancata trasformazione);
– Invasione dei loro mercati con prodotti esteri in concorrenza con la produzione locale. Le economie locali, quando esistenti, sono sopraffatte dalle multinazionali; politiche protezioniste dei paesi europei rispetto alla produzione africana (scambio ineguale: i prezzi dei prodotti del sud scendono mentre quelli del nord salgono);
– Spese militari insostenibili; il mercato legale ed illegale delle armi; Basi militari straniere sul territorio africano;
- le guerre indotte (divide et impera); Guerre di aggressione esterna;
- Grandi basi militari installate e gestite da potenze straniere che si contendono risorse e controllo geostrategico del territorio;
– Libera rapina e depauperamento dell’ambiente (inquinamento senza controllo, deforestazioni, pesca illegale, commercio di fauna selvatica);
CHI
– Fondi di Investimento e relative imprese private quali le multinazionali e grandi corporations, politiche neocoloniali mercantilistiche e di sfruttamento finanziario operate da entità statali (America, Francia, Inghilterra, Cina, Belgio, Italia, Russia, ecc……);
– Le élite locali che vivono nel lusso, conniventi con le politiche estrattive operate sul territorio;
Che l’Africa sia costretta nel suo stato di sottosviluppo cronico fa comodo a tanti. Il suo sottosviluppo è il prodotto storico della relazione costrittivo-parassitaria a cui gli africani sono stati condannati. È quanto mai urgente e possibile invertire integralmente questo stato di cose e costruire un mondo nuovo.
Ma ridiamo la parola alla BdF che ci fa un suo cinquantennale consuntivo:
Cinquante ans après l’accession à l’indépendance des pays africains, le bilan est largement positif. Si la Zone franc est loin d’être une zone monétaire optimale au regard de la théorie économique, elle a cependant fonctionné et a su apporter à ses membres des avantages concrets. [A cinquant’anni dall’indipendenza dei paesi africani, i risultati sono ampiamente positivi. Sebbene la Zona del Franco sia lontana dall’essere una zona monetaria ottimale, alla luce della teoria economica ha comunque funzionato e ha portato benefici tangibili ai suoi membri.]
(1) https://www.banque-france.fr/en/search-es?term=CFA%20franc%20zone
(2) https://www.banque-france.fr/sites/default/files/medias/documents/816153_fiche_zone-franc.pdf
(3) Si tratta di miliardi trattenuti dalla Francia che aiutano, peraltro, a finanziare il debito pubblico francese. Di fatto i paesi africani contribuiscono a sostenere il debito francese.
(4) http://web.archive.org/web/20160319003310/http:/camersenat.info/revelation-voici-les-22-presidents-africains-assassines-par-la-france-depuis-1963%E2%80%B3/
(5) http://massambabarackmbodj.blogspot.com/2014/01/liste-des-africains-assassines-par-la.html
http://cameroonvoice.com/news/article-news-19634.html
(6) http://hdr.undp.org/en/composite/HDI
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