Crepe profonde nel sistema economico occidentale
I patologici squilibri indotti dal modello economico occidentale risultano sempre più insostenibili. La finanziarizzazione estrattiva/speculativa genera ed alimenta il conflitto globale
La pratica neoliberista che obbliga gli Stati a finanziarsi facendo ricorso esclusivo ai mercati finanziari, vendendo titoli a soggetti non residenti in cambio di soldi da restituire con gli interessi, è sempre meno sostenibile. I costi dei debiti sovrani crescono rapidamente, creando un potenziale rischio per l’economia globale. Il rendimento dei titoli di Stato USA a 10 anni [1], attualmente al 4,5% potrebbero crescere sino al 5% o più. Già questo singolo fattore è indice di una fragilità crescente delle economie occidentali. Non si tratta, infatti, di un fenomeno circoscritto agli Stati Uniti, ma si sta verificando anche altrove: Gran Bretagna (4,58%), Italia (3,65%) e Francia (3,29%), Ungheria (6,74), Messico (9,61%), Sud Africa (10,11%), Brasile(10,75%), Turchia (25,51%) tutti paesi con tassi in rapido aumento. Era già accaduto nel 2007, prima della crisi finanziaria del 2008, e all’alba del secolo che ha visto valori superiori al 5%.
Perché allarma l’aumento dei tassi a lunga scadenza?
Alti Rendimenti finanziari inducono i possessori di capitali a farli fruttare finanziariamente piuttosto che investirli nell’economia reale. L’aumento dei tassi d’interesse drena, infatti, capitali dall’economia produttiva, spingendo cittadini e aziende a risparmiare invece di spendere ed investire, con evidenti conseguenze negative sull’attività economica. I prestiti necessari agli investimenti costano di più, viceversa, investire finanziariamente capitali rende di più e con zero rischio di impresa.
Per i governi, la situazione è ancora più complessa: molti paesi spendono più di quanto incassano con le entrate fiscali, vedendosi costretti a tagli nello stato sociale e ad aumentare il debito per far fronte al debito tramite l’emissione di nuove obbligazioni.
Nel caso degli Stati Uniti, quasi un terzo del debito pubblico deve essere rimborsato quest’anno; parliamo di oltre 7 trilioni di dollari, parte di un debito pubblico superiore a 36 trilioni di dollari. Dal 1° gennaio 2025, il debito pubblico degli Stati Uniti è aumentato di circa $1,2 trilioni. Questo rapido aumento riflette sia l’accumulo di nuovi debiti che l’incremento degli interessi sul debito esistente. Il servizio annuale al debito, in interessi, generato dal debito pubblico degli Stati Uniti è stato di circa 882 miliardi di dollari per il 2024.
Questo problema non si limita ai governi e al debito sovrano. L’aumento dei rendimenti obbligazionari fa aumentare anche i costi di mutui, prestiti personali e finanziamenti aziendali, creando un effetto domino che colpisce l’intera economia.
Per capire la gravità della situazione, è importante considerare che i governi spendono più di quanto incassano da decenni, accumulando debiti. Per colmare questo divario, emettono obbligazioni, ma quando il costo per emettere questo debito aumenta, la situazione si complica. Gli Stati Uniti non hanno mai smesso di accumulare debiti dal 2000, spendendo ogni anno più di quanto incassano.
Un rendimento decennale sopra il 5% è un campanello d’allarme per l’economia causato dal fatto che gli investitori, consapevoli di maggiori rischi di default, sono sempre più restii a prestare denaro senza una ricompensa più alta, quindi i tassi aumentano; anche la perdita del potere di acquisto del denaro conseguente ai processi inflattivi in corso porta ad una più alta richiesta di rendimenti. Recentemente il Tesoro degli Stati Uniti, per raccogliere 39 miliardi di dollari, si è visto costretto ad offrire il tasso di interesse più alto dal 2007, poiché gli investitori sono diventati più esigenti. In pratica, la domanda di prestiti supera l’offerta, e gli investitori chiedono rendimenti più alti per compensare l’inflazione e la mancanza di liquidità nel sistema.
Reverse Repo
Entra in gioco anche il Reverse Repo [2], una riserva di emergenza per il sistema finanziario, che oggi è quasi a zero. Essa permetteva alle banche di parcheggiare il denaro in eccesso presso la banca centrale. Nel 2021, la Fed ha iniziato a offrire un interesse leggermente superiore a quello del mercato per il Reverse Repo, attirando 2,3 trilioni di dollari. Tuttavia, a partire dal 2025, la situazione è cambiata. Con l’inflazione che mostra segnali di ripresa, la Fed ha deciso di eliminare il premio di interesse per il Reverse Repo. Questa decisione ha avuto un duplice effetto: La Banca Centrale si è liberata dei fondi parcheggiati. Questi fondi sono stati reintrodotti nell’economia, fluendo verso i titoli di Stato a breve termine, aiutando il governo a finanziare il suo debito crescente. Di conseguenza, la “cassaforte” del Reverse Repo è ora quasi vuota. Ora, il governo dovrà attrarre nuovi investitori aumentando i rendimenti, complicando la situazione finanziaria.
Nel 2025, gli Stati Uniti dovranno rimborsare 7 trilioni di dollari, ma il governo non ha intenzione di estinguere il debito; piuttosto lo ricicla prendendo in prestito nuovi soldi per pagare quelli vecchi. Negli anni passati, il governo ha potuto attingere al Reverse Repo per emettere debiti a breve termine senza aumentare troppo i tassi. Come già detto questo meccanismo si è interrotto quando la Fed ha modificato il Reverse Repo. Nel 2020, durante la pandemia, le banche centrali hanno stampato grandi quantità di denaro, acquistando titoli di Stato dalle banche. Questa iniezione di liquidità ha portato le banche commerciali ad avere più depositi che asset, creando un problema tecnico. Per risolvere ciò, la Fed ha creato il Reverse Repo facility (Il Reverse Repo Facility permette alle banche e ad altre istituzioni finanziarie di depositare temporaneamente denaro presso la Federal Reserve in cambio di titoli di stato), con cui le banche potevano prestare denaro alla Fed in cambio di un piccolo interesse. Nel 2021, la Fed ha iniziato ad offrire un interesse superiore a quello di mercato, attirando quei 2,3 trilioni di dollari prima menzionati in questa struttura. Ora, nel 2025, con l’inflazione in aumento, la Fed sta cercando di controllare la situazione. La recente eliminazione del premio di interesse per le banche nel Reverse Repo significa che la Banca Centrale vuole liberarsi di quei fondi e reintrodurli nell’economia. Questo denaro fluirà verso i titoli di Stato a breve termine, aiutando il governo a finanziare il debito crescente. Il governo dovrà quindi aumentare i rendimenti per attrarre nuovi investitori, ma questo causa un rallentamento dell’economia poiché ogni forma di credito diventa più costosa. La Banca Centrale potrà abbassare i tassi a breve termine, ma i tassi a lungo termine continueranno ad aumentare poiché i mercati percepiscono il rischio dell’inflazione. Gli investitori chiedono rendimenti più alti per proteggersi da questo rischio, dato che i mercati guardano al futuro. Questa combinazione di aumento del debito a breve termine e tassi a lungo termine in crescita crea un circolo vizioso da cui è difficile uscire, soprattutto se non si riuscisse ad arginare il processo di dedollarizzazione in corso. Se, infatti, l’inflazione dovesse riprendere forza, il governo sarebbe costretto a rifinanziare il debito a tassi ancora più elevati, innescando un circolo vizioso che potrebbe portare a una forte recessione.
Le politiche economiche, proposte dall’amministrazione Trump, che prevedono riduzione delle tasse, aumento delle spese per la difesa e dazi [3], rischiano di alimentare ulteriormente l’inflazione, spingendo i mercati obbligazionari verso livelli ancora più critici.
Anche le politiche europee, come i dazi su alcuni prodotti importati dalla Cina, contribuiscono al problema.
I dazi sono un’arma a doppio taglio. Fanno lievitare l’inflazione
Si tratta di tariffe aggiuntive imposte sui beni importati. Essi aumentano, inevitabilmente, il costo di tali beni per i consumatori, perché i produttori e i distributori spesso trasferiscono l’aumento dei costi ai clienti finali innescando processi inflattivi. I dazi proteggono le industrie locali dalla concorrenza straniera, rendendo i beni importati più costosi rispetto ai beni prodotti internamente ma con meno concorrenza le imprese nazionali in genere aumentano i prezzi dei loro prodotti. Molte industrie dipendono da materie prime o componenti importati. Se questi vengono colpiti dai dazi, i costi di produzione aumentano, portando a un incremento dei prezzi dei prodotti finali. L’aumento dei prezzi delle merci importate può contribuire all’inflazione generale nel paese, poiché i costi più elevati si riflettono in tutta l’economia. I dazi possono scatenano ritorsioni da parte di altri paesi, portando a guerre commerciali. Questo può ulteriormente aumentare i prezzi e creare incertezza economica. Se, ad esempio, viene stabilito un dazio del 20% sui prodotti elettronici importati, di conseguenza i prezzi degli smartphone, laptop e altri dispositivi aumenteranno. I consumatori pagheranno di più per questi prodotti, le aziende locali potrebbero non avere incentivi a ridurre i prezzi, e l’inflazione aumenta.
Schiavi del debito
Malgrado i governi riducano la spesa pubblica persino con tagli ai servizi pubblici primari e introducano misure di maggiore rigore fiscale, finiscono ugualmente per aumentare il debito. Tagliare la spesa rallenta l’economia proprio mentre ci si continua a indebitare per onorare il debito. La conseguenza è l’aumento del rapporto Debito/PIL. Ecco che alcuni governi cercano di spostare il debito verso strumenti a più lungo termine per ridurre la pressione immediata, ma questo può far esplodere i tassi, rendendo più difficile per il settore privato accedere al credito. I prossimi mesi saranno critici. Gli alti tassi sono un segnale di scarsità di liquidità. L’aumento dei tassi d’interesse allontana il capitale dall’innovazione e dalla produttività, dirigendolo verso un debito che non genera ricchezza. Gli sforzi della collettività saranno completamente rivolti alla necessità di onorare il debito. Mentre i governi cercano soluzioni temporanee, l’economia reale ne paga il prezzo.
USA. La reindustrializzazione e il ritorno all’economia produttiva
Il dollaro, usato quale valuta di riserva internazionale e per le transazioni internazionali divenuto moneta fiat a partire dal 1971, insieme alla globalizzazione, che ha delocalizzato le grandi multinazionali USA all’estero, in particolare in Cina, ha fatto scivolare gli USA inesorabilmente verso l’economia finanziaria. Si tratta di un processo che ha colpito anche l’Unione Europea.
Trump, seppure maldestramente, cerca di correre ai ripari cercando di reindustrializzare gli USA ricorrendo al deficit e chiedendo bassi tassi di interesse alla FED. Egli rischia, però, di impantanarsi nella politica dei dazi nel tentativo di riequilibrare la bilancia commerciale americana completamente squilibrata sul lato delle importazioni [3]. Cerca, infatti, di attuare una politica economica che mira a ridurre i costi energetici e indebolire il dollaro, con l’obiettivo di stimolare la produzione locale e tenere sotto controllo l’inflazione. Con un dollaro più debole le importazioni vengono scoraggiate mentre si incoraggiano le esportazioni poiché il “listino prezzi” dei prodotti americani risulta più accessibile. Soprattutto continua a imporre all’Unione europea l’importazione di gas liquefatto USA (da 3 a 4 volte più caro) sostitutivo di quello russo da tubo, opportunamente sottoposto a sanzioni, e sistemi d’arma di produzione statunitense chiedendo ai paesi membri della NATO di far lievitare la loro spesa militare fino al 5% del PIL usando a tal fine lo spauracchio dell’uscita degli USA dalla NATO che lascerebbe i paesi Ue alla mercé del presunto espansionismo russo verso l’Europa Occidentale.
Impone così l’importazione di Gas liquefatto ed armi mentre introduce tariffe del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio provenienti dall’Europa e impone tariffe sulle automobili europee, che potrebbero aumentare i costi di esportazione del 20-25% comprese le esportazioni agricole europee, come vino, formaggio e olio d’oliva. Si tratta di misure che riflettono l’intenzione di Trump di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti con l’Europa e promuovere l’industria americana.
Trump, nel mentre minaccia le aziende USA che manifestano l’intenzione di produrre al di fuori degli Stati Uniti di dover affrontare conseguenze finanziarie per questa scelta, offre, in continuità con la precedente amministrazione Biden, una serie di incentivi per attrarre aziende estere a delocalizzarsi negli Stati Uniti [5]. Il più grosso incentivo al ritorno degli investimenti produttivi sarebbe ovviamente l’abbassamento del costo del denaro ma tra Trump e Jerome Powell è in atto su questo punto un braccio di ferro. Il presidente USA sostiene che una politica monetaria più espansiva è essenziale alla ripresa, alla crescita economica degli USA e alla sua competitività. A remare contro un taglio drastico dei tassi di interesse che la Federal Reserve ha mantenuto invariati nella sua riunione di gennaio 2025 nella fascia del 4,25%-4,5% gli interessi dei grandi fondi di investimento. BlackRock, Vanguard e State Street (“the big three”) hanno interesse a mantenere alti i tassi di interesse prima di tutto per continuare a godere di alti rendimenti sui Titoli di Stato. I fondi di investimento detengono, infatti, ingenti quantità di titoli di stato. Quando i tassi di interesse sono alti, i rendimenti su questi titoli aumentano, migliorando i rendimenti complessivi dei fondi. Tassi di interesse più alti aiutano a controllare l’inflazione, attualmente vicina al 3%, influenzando positivamente la valutazione degli assetti finanziari, migliorando il valore degli investimenti dei fondi. Soprattutto aiutano a mantenere alto il valore del dollaro contrastando la dedollarizzazione in corso. Tassi di interesse elevati possono incentivare, infatti, la dollarizzazione dei risparmi e dei prestiti. In un contesto di tassi di interesse bassi rispetto a quelli USA, il costo-opportunità di detenere valuta locale si riduce, e più persone potrebbero scegliere di utilizzare il dollaro per transazioni quotidiane e per investimenti. Un tasso di inflazione più alto nella valuta locale potrebbe far sì che i residenti optino per il dollaro per preservare il loro potere d’acquisto. In conclusione gli interessi dei grandi fondi di investimento USA collidono con le politiche di Trump. L’economia USA ha però bisogno dell’azione strategica dei Fondi i quali rastrellano risparmi in tutto il mondo occidentale che vengono trasformati in titoli espressi in dollari contribuendo così al sostegno del dollaro quale argine al processo di dedollarizzazione in corso.
Su un altro versante, Donald Trump ha chiesto all’OPEC di aumentare la produzione di petrolio per abbassare i prezzi del greggio. Ha dichiarato questo proposito durante il suo discorso al World Economic Forum a Davos affermando che avrebbe chiesto all’OPEC e all’Arabia Saudita di aumentare la produzione di petrolio in modo da aumentare l’offerta e ridurre i costi del barile. Tuttavia, non è ancora chiaro se l’OPEC agirà in base a tale richiesta.
Un calo dei prezzi del petrolio, secondo Trump, calmerebbe l’inflazione (un’inflazione da costi) e permetterebbe alle aziende di non aumentare i prezzi, difendendo di conseguenza il potere d’acquisto dei consumatori. Questa strategia si ripercuoterebbe positivamente sulle politiche monetarie e sulle aspettative dei mercati, influenzando quindi i tassi di interesse. Un altro aspetto della politica di Trump è quello di raffreddare le tariffe per la Cina, in vista di un possibile accordo riguardante TikTok. Trump ha infatti accennato alla possibilità di alleggerire i dazi previsti al 60% per la Cina, indicando un potenziale accordo nel settore tecnologico.
Egli sembra consapevole dei pericoli per l’economia e per i mercati finanziari, e le sue dichiarazioni recenti indicano un tentativo di agire su questi fronti. Pensa di prendere due piccioni con una fava suggerendo che un calo del prezzo del petrolio avrebbe l’ulteriore effetto di intervenire sulla guerra tra Russia e Ucraina abbassando i proventi russi dal loro commercio di combustibili fossili nel mondo convinto (illuso) che la minaccia di tariffe e sanzioni nei confronti della Federazione Russa potrebbe indurre Putin a farsi più malleabili rispetto alle loro richieste di sicurezza nell’area euroasiatica che mirano alla neutralità dell’Ucraina e alla sua completa demilitarizzazione.
[1] I titoli di stato a 10 anni sono strumenti finanziari emessi dal governo di un paese per raccogliere fondi. Chi acquista un titolo di stato, presta denaro al governo e, in cambio, riceve interessi periodici e il rimborso del capitale alla scadenza del titolo. In pratica immaginiamo di acquistare un titolo di stato a 10 anni per una certa somma di denaro, ad esempio 1.000 euro. Ogni anno, il governo ci paga un interesse su quella somma. Questo interesse è solitamente fisso e viene pagato semestralmente. Dopo 10 anni, il governo ci rimborserà i 1.000 euro iniziali.
I titoli di stato sono considerati investimenti sicuri perché sono garantiti dal governo emittente, il che significa che il rischio di insolvenza è considerato assai basso. Tuttavia, il rendimento è generalmente più basso rispetto ad altri investimenti come azioni o obbligazioni aziendali considerati più rischiosi.
[2] Reverse Repo (o Reverse Repurchase Agreement) è un’operazione finanziaria utilizzata dalla Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti) per controllare la quantità di denaro in circolazione e stabilizzare i tassi di interesse. La Federal Reserve vende temporaneamente titoli di stato a una controparte idonea (come una banca o un fondo di investimento) con un accordo per riacquistarli in futuro. La controparte accetta di tenere i titoli per un certo periodo di tempo e, alla fine di questo periodo, la Federal Reserve li riacquista al prezzo concordato inizialmente. La differenza tra il prezzo di vendita iniziale e il prezzo di riacquisto rappresenta gli interessi pagati dalla Federal Reserve alla controparte. Questo strumento permette alla Federal Reserve di drenare liquidità dal sistema finanziario, riducendo così l’ammontare di denaro in circolazione (tenere a bada l’inflazione) e aiutando a mantenere i tassi di interesse stabili.
[3] Attualmente, la posizione finanziaria netta degli Stati Uniti è di -23.60 trilioni di dollari al termine del terzo trimestre del 2024. Questo significa che il valore totale degli attivi finanziari detenuti dai residenti statunitensi all’estero è inferiore al valore totale delle passività finanziarie detenute da stranieri negli Stati Uniti. In pratica rappresenta l’indebitamento complessivo degli USA con i paesi esteri. U.S. Economy at a Glance | U.S. Bureau of Economic Analysis (BEA) (https://www.bea.gov/news/glance).
[4] Agevolazioni Fiscali: Molti stati offrono detrazioni fiscali, crediti d’imposta e esenzioni fiscali per le aziende che investono e creano posti di lavoro. Questi incentivi possono ridurre significativamente il carico fiscale delle aziende. Finanziamenti a Tasso Agevolato: Alcuni programmi offrono finanziamenti a tasso agevolato per aiutare le aziende a coprire i costi di apertura e operatività. Questi finanziamenti possono includere prestiti obbligazionari esentasse e fondi di finanziamento strategici.
Supporto per la Ricerca e lo Sviluppo: Gli incentivi possono includere detrazioni fiscali per gli investimenti in ricerca e sviluppo, specialmente per tecnologie avanzate e innovazioni.
Agevolazioni per le Piccole e Medie Imprese (PMI): Ci sono programmi specifici per le PMI che offrono linee di credito, agevolazioni di investimento in conto capitale e garanzie bancarie.
Infrastrutture e Servizi: Gli stati offrono infrastrutture di alta qualità e servizi di supporto, come consulenze per l’ingresso sul mercato, partecipazione a fiere e supporto per l’e-commerce.
vedi: (https://www.exportusa.us/incentivi-investimenti-stati-uniti.php) (https://www.exportusa.us/finanziamenti-investimenti-statiuniti.php).
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