LA VERA POSTA IN GIOCO

Novembre 23, 2016 0 Di Francesco Cappello

novembre 23, 2016

La riforma costituzionale proposta da Renzi ha lo scopo di blindare la nostra adesione all’Unione europea e facilitare l’ingresso nel corpo dell’economia nazionale, di forme virali patogene, nella forma ditrattati, come il TISA, il CETA e il più noto TTIP (per ora e speriamo per sempre, in stand-by) una volta che questi siano stati ratificati dall’Unione.
Il mercato europeo risulta estremamente appetibile alle grande multinazionali che spingono per una deregolamentazione completa verso il libero commercio. L’apertura di questo varco potrebbe portare a una sorta di invasione di merci e servizi d’oltreoceano a discapito della piccola e media impresa (la forma predominante dell’economia italiana) insieme a una forzatura degli standard minimi di legge a protezione del lavoro, della salute e dell’ambiente.
Con questo genere di trattati si cerca di creare un quadro politico e un sistema normativo che legalizzi e garantisca gli interessi di potenti gruppi di potere economico. A legittimare tale sospetto ha contribuito la volontà di condurre le trattative tenendole nascoste ai cittadini. Le valutazioni disponibili da parte della confindustria francese e inglese indicano che si tratta di tentativi di legittimare la barbarie economica che pretende abbattere le nostre leggi migliori al fine di spianare la strada agli interessi delle multinazionali e delle classi economiche dominanti.

Il più recente T.I.S.A. Trade in Services Agreement, minaccia liberalizzazioni selvagge. Se approvato condizionerà la vita di lavoratori e cittadini europei, perché liberalizzerà ulteriormente servizi fondamentali: banche e finanza, rifiuti, trasporti urbani, commercio elettronico, acqua, telecomunicazioni, cure mediche, servizi professionali vari. Allo scopo intende riscrivere le regole del mercato europeo, impedendo ai governi nazionali di intervenire qualora volessero evitare la mercificazione dei loro servizi.

I Costituenti avevano ben chiare le conseguenze della crisi dell’economia finanziaria del ’29 sfociata negli eventi bellici successivi. La nostra Costituzione economica è di stampo Keynesiano. Fondata sulla tutela del lavoro, sorgente di ricchezza, all’art. 3 secondo comma, impone l’intervento dello Stato nel settore socioeconomico. È la politica a dover controllare l’economia e non viceversa. Ricordate? L’economia è libera solo ove non contrasti con l’interesse pubblico… Leggere gli articoli dal 41 al 47 ci aiuta a percepire il grado di penetrazione della ideologia neoliberista che è riuscita a colonizzare, trasformandolo, il senso comune delle persone.
Si pensi, per fare un esempio, all’art. 47 che tutela il risparmio in tutte le sue forme:

“ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.”

e all’importanza che assume oggi, in circostanze in cui il bail-in è invocato e in qualche misura praticato, per il salvataggio degli istituti finanziari in bancarotta.

L’ideologia neoliberista, sin dal 1973 (si veda il “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale“) ha messo nel suo mirino le Costituzioni, in particolare quelle antifasciste originatesi nel dopoguerra, nell’Europa meridionale, perseverando tenacemente nel tentativo di disarticolarle. Di recente la Commissione Trilaterale che è una sorta di associazione di categoria dell’aristocrazia finanziaria è stata ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Mattarella.
Un colpo mortale è stato inferto agli articoli economici della nostra Costituzione con la modifica dell’articolo 81 [1] che ha inoculato il virus/zecca del pareggio di bilancio, strumento cardine della politica di “austerità” che ha diffuso la falsa coscienza della necessità di porre rimedio a un presunto periodo di sprechi ed eccessi che avrebbero fatto lievitare il debito pubblico, colpa e pena da estinguere a suon di sacrifici, lacrime e sangue.
Il combinato del mancato esercizio della Sovranità monetaria (a partire dal 1981) e l’obbligo al pareggio di bilancio hanno ridotto lo Stato alla stregua di un qualsiasi privato che per finanziare le proprie attività è costretto ad indebitarsi trasformando la natura innocua e virtuosa del debito pubblico, in un vero, inestinguibile debito. Per uno Stato che esercita la propria Sovranità il debito non rappresenta altro che i nostri risparmi in una forma in cui esso ha la possibilità di tutelarli.

La Costituzione è sempre più disarmata. I Costituenti avevano eretto un potente baluardo contro le insidie delle derive del sistema finanziario. Un vero e proprio sistema immunitario predisposto ad aiutarci a riconoscere e respingere l’invasore di turno; qualora passasse questa riforma, la Costituzione sarebbe resa ancora meno in grado di tutelarci, in particolare, come vedremo, a causa delle modifiche a carico, degli articoli 55 [2], 70 [3].
Ricordate la lettera spedita da Draghi e Trichet al governo italiano?
Ripassiamola:
«Caro Primo Ministro,
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.
Il vertice dei capi di Stato e di governo dell’area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell’euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il consiglio direttivo ritiene che l’italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali.
Il governo italiano ha deciso di mirare al pareggio di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi importanti, ma non sufficienti.
Nell’attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure: 1.Vediamo l’esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed é cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro.
a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
b) C’é anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.

Come si vede, molto è stato fatto: pareggio di bilancio in Costituzione, Jobs Act. In fieri il T.I.S.A. e le riforme strutturali nei piani della la riforma (in)costituzionale.

Perché l’Italia diventi un corpo solo con l’UE cosa c’è di meglio che costituzionalizzare l’adesione ad essa. Il governo ha esplicitato tale necessità di adeguamento dell’ordinamento interno all’evoluzione della governance economica europea in occasione della presentazione del ddl costituzionale al Senato. Si legge in quel documento:

“Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi,tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale;”

Il Trattato di Lisbona all’articolo 50, al suo primo comma, stabilisce che:

“Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.”

Ecco spiegata l’urgenza della riforma (in)costituzionale.
Essa risponde alla necessità di incorporare il vincolo esterno, e quale modo migliore, se non subordinando tutto il nostro ordinamento a quello dell’Unione europea?
La legislazione nazionale sarà sistematicamente uniformata a quella prodotta dall’Unione europea. L’art. 55 farà del Senato l’organo di controllo dell’attuazione della normativa UE.

Con le parole di Luciano Barra Caracciolo:

“La finalità sostanziale della riforma, che passa per i nuovi art.55 e 70 Cost., e non per l’art.117 (precedente e attualmente proposto), è dunque quella di ratificare, cristallizzandola in Costituzione, la sottomissione dei massimi organi di decisione politica, cioè le Camere elettive (il nuovo Senato tra l’altro perde questa connotazione) ad un indirizzo politico, quello €uropeo, che non solo si forma al di fuori del territorio e della volontà del popolo italiano, ma che diviene vincolante al di là di qualsiasi esito elettorale (rendendolo per sempre irrilevante, finché fosse in vigore questa riforma della Costituzione).
Quale che sia la maggioranza per la quale gli italiani si sono illusi di votare, la nuova Costituzione ne prescinde e, con le sue espresse previsioni, vincola le Camere a votare le norme che sono deliberate in sede UEM. Anche perché vincola le stesse Camere, sempre di più, a essere solo un organo di ratifica delle decisioni di un governo, sì dominante sul potere legislativo, ma che diviene il consiglio di amministrazione esecutivo di una controllata da parte della maxi-holding di Bruxelles (i cui azionisti sono le lobbies degli oligopoli finanziari e finanziarizzati che dominano i processi decisionali UE).”

“la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea” è divenuta un contenuto super-tipizzato e dunque, potere-dovere immancabile, della più importante funzione sovrana dello Stato (quella legislativa): ergo, la sovranità italiana è, per esplicito precetto costituzionale, vincolata, per sempre, ad autolimitarsi attraverso l’adesione alla stessa UE che, per logica implicazione, diviene un obbligo costituzionalizzato.

Si tenga presente che l’85% della normativa che passa per il nostro Parlamento è targata UE. L’adesione diverrebbe un obbligo costituzionalizzato e diventerebbe molto difficile sindacare le politiche europee sulla base di un conflitto con la legislazione nazionale e con i principi costituzionali, in aperto contrasto con l’art.1 che recita che “La sovranità appartiene al popolo”.

In altre parole, poiché il Parlamento non potrebbe più adempiere alla sua mission, l’Italia non potrebbe lasciare la UE, se non in seguito a ulteriore revisione costituzionale.
Oltretutto, l’art. 55 non prevede come nel corrispondente caso tedesco che il Parlamento verifichi e promuova nell’interesse nazionale tedesco il processo dell’UE. Nel caso tedesco è una costituzionalizzazione ma è prevista l’azione del preminente filtro dell’interesse nazionale tedesco!
La vera posta in gioco di questa riforma oltre a un aggravamento della sottomissione del potere legislativo a quello esecutivo, già ampiamente in essere se la riforma costituzionale si sta realizzando a colpi di fiducia su proposta governativa..

Vera posta in gioco è lo smantellamento dello stato sociale, la tutela del lavoro e dei livelli dell’occupazione, il cedimento alle pressioni, sistematiche e organizzate, a Bruxelles, delle lobby che riescono ad imporre un “diritto internazionale privatizzato”  corrispondente ad interessi commerciali e finanziari sovranazionali.
La vittoria del Sì sarebbe un risultato secondo i migliori auspici della banca JP Morgan, ritenuta dal governo USA tra le maggiori responsabili della crisi finanziaria del 2008.
Renzi sta eseguendo alla lettera i “consigli” che gli giungono da più parti, apparentemente da interlocutori diversi, per porre finalmente fine alla crisi economica italiana che secondo la J.P. Morgansarebbe causata dalla nostra Costituzione troppo socialista e perciò troppo tenera con i diritti dei lavoratori. (vi viene in mente niente che abbia a che fare col numero 18?)

“The political systems in the periphery were established in the aftermath of dictatorship, and were defined by that experience. Constitutions tend to show a strong socialist influence, reflecting the political strength that left wing parties gained after the defeat of fascism. Political systems around the periphery typically display several of the following features: weak executives; weak central states relative to regions; constitutional protection of labor rights; consensus building systems which foster political clientalism; and the right to protest if unwelcome changes are made to the political status quo. The shortcomings of this political legacy have been revealed by the crisis. Countries around the periphery have only been partially successful in producing fiscal and economic reform agendas, with governments constrained by constitutions (Portugal), powerful regions (Spain), and the rise of populist parties (Italy and Greece).”

Che dire? Malgrado l’articolo 36,

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

oggi siamo nel bel mezzo dell’era dei voucher… Avrà già vinto chi intende stravolgerla la Costituzione?
Sarà che più che riformarla si trattasse di applicarla?

Questa faccenda ha tutta l’aria di un grande affare. A vantaggio di chi?

Articolo pubblicato in Gli Stati Generali

[1] Nell’aprile 2012 è stato introdotto in Costituzione, senza vaglio preventivo della sua costituzionalità, il principio del pareggio di bilancio modificando alcuni articoli, tra cui l’art. 81. Poichè la modifica è stata votata da più di due terzi dei Parlamentari, non è stato possibile indire referendum confermativo.
Pubblicazione: G.U. n. 95 del 23 Aprile 2012 (Supp. Ord.)

[2] L’articolo 55 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 55. — Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione. La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo. Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo stato, gli altri enti costitutivi della repubblica e l’unione europea. partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione».

[3] L’articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 70. – La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati».